Dott.ssa Cristina Traverso - Psicologa - S.O.C. Riabilitazione

Intervista Febbraio 2011

Daniele M.: La sanzione è utile nella vita comunitaria?

Cristina: La sanzione non è sempre utile perché certi comportamenti avvengono a causa della malattia e quindi punire una persona che non sta bene non ha senso. Più che altro è un discorso legato al gruppo, se c'è un comportamento sbagliato, lasciarlo passare senza sottolinearlo può diventare pericoloso perché, come in tutte le comunità, un comportamento non corretto deve essere rimarcato, ripreso. Poi sicuramente determinate sanzioni su alcune persone hanno un certo effetto però la punizione in se stessa davanti a comportamenti legati ad un disturbo, ripeto, non ha senso. Occorre prima di tutto capire perché una persona ha un certo comportamento e l'eventuale sanzione non deve essere intesa come freno a comportamenti non corretti ma come aiuto alla riflessione, a pensare. Occorre che la persona che ha avuto un comportamento non corretto, aiutato anche dagli altri, possa anche riflettere sul comportamento stesso.

Comunque, occorre sempre cercare di sottolineare un comportamento positivo piuttosto che sottolineare un comportamento negativo: "appellarsi alla parte sana della persona"

Daniele: La sanzione è compatibile con il concetto di riabilitazione?

Cristina: Sì, è compatibile. Certamente la vita in un contesto comunitario, richiede la presenza di regole che, se non rispettate, possono avere come sbocco la sanzione.

Siamo però davanti ad una contraddizione in termini perché, se una persona è in una struttura per riabilitarsi, vuol dire che determinate funzioni sono deficitarie e che quindi ha bisogno di un aiuto, di un supporto per riportarle alla normalità, per eliminare la parte disturbata; quindi la sanzione può fungere da deterrente a ripetere una determinata azione ma sicuramente non elimina la causa per cui quella azione è stata fatta

Daniele: Ci sono stati casi in cui è stata costretta a sanzionare?

Cristina: Si, mi è successo, ma io fatico a sanzionare.

Daniele: Le è dispiaciuto?

Cristina: Tantissimo, ma spesso occorre dare un messaggio al gruppo perché c'è il rischio che il comportamento di uno diventi il comportamento di tutti e questo non è possibile.

Ricordo quando con un accendino era stato bruciato il soffitto dell'ascensore, in quel caso quel comportamento era pericoloso

Daniele: Ci sono stati casi in cui è stata costretta a sanzionare?

Cristina: Si, mi è successo, ma io fatico a sanzionare.

Daniele: Le è dispiaciuto?

Cristina: Tantissimo, ma spesso occorre dare un messaggio al gruppo perché c'è il rischio che il comportamento di uno diventi il comportamento di tutti e questo non è possibile.

Ricordo quando con un accendino era stato bruciato il soffitto dell'ascensore, in quel caso quel comportamento era pericoloso come è pericoloso se una persona fuma nella camera da letto perché la probabilità di addormentarsi con la sigaretta accesa e far prendere fuoco al letto non è bassa. In quel caso applicare le sanzioni mi è parso giusto perché il rischio di morte superava il rischio di offendere per una sanzione

Daniele: Cos'è il progetto terapeutico personalizzato?

Cristina: Il progetto terapeutico personalizzato deve essere un progetto di cura fatto su misura per quella determinata persona allo stesso modo come farsi fare un vestito da un sarto

Mario: E' possibile che il sarto ti faccia il vestito su misura attraverso il telefono?

Cristina: No, occorre sempre che il sarto prenda le misure direttamente sulla persona interessata. Comunque il progetto è fondamentale, senza il progetto non si parte ed è essenziale per un percorso di riabilitazione. Se non c'è il progetto è come far una casa senza fondamenta

Tina: Per noi lo avete fatto il progetto?

Cristina: Diciamo che come concetto il progetto c'era anche per voi ma avveniva attraverso comunicazione orale tra operatori.

Il progetto, invece, non deve essere solo pensato ma discusso con il paziente e scritto per permettere le necessarie verifiche

Daniele: Le eventuali carenze di risorse umane possono incidere sulla riabilitazione?

Cristina: Certo, può incidere perché più risorse umane ci sono più la persona può essere seguita da tutti i punti di vista

Se invece le risorse diminuiscono è ovvio che si cercano i punti più importanti ma a scapito della globalità dei problemi.

Per fare un buon lavoro terapeutico riabilitativo occorre che ci sia personale con diverse funzioni, ognuno col proprio ruolo ed ognuno con la propria esperienza con il proprio bagaglio culturale e con il proprio supporto tecnico.

Mario: A maggior ragione è essenziale proprio nella riabilitazione psichiatrica.

Cristina: E' importantissimo perché come un chirurgo ha bisogno di ferri, noi per poter fare riabilitazione abbiamo bisogno del nostro rapporto umano, quindi della nostra capacità di relazionarci

I cambiamenti all'interno di una persona che è disturbata, che sta male, hanno bisogno di tempo, tanto tempo prima che siano almeno un po' visibili.

Il cambiamento avviene ma ha bisogno di una lunga elaborazione, faticosa e dolorosa, molto spesso passa attraverso una depressione perché bisogna staccarsi, separarsi da una parte di sé, seppur patologica, e agganciarsi ad una parte di se più funzionale ma che ti mette di fronte alla realtà che può non piacerti e che può farti male.

Daniele: A volte in psichiatria è difficile parlare di guarigione, perché?

Cristina: Se uno ha una ferita noi siamo certi che al 100% con una certa procedura quella ferita si rimargina, le ferite del cuore, dell'anima, le ferite del proprio sé, spesso hanno bisogno di più tempo per rimarginarsi e comunque sia, sono sempre legate a qualche evento esterno in grado di riaprirle. La mente umana, purtroppo, è talmente caotica e imprevedibile che diventa difficile realizzare una procedura unica per tutti, ogni persona è unica e irripetibile e, conseguentemente, irripetibile è la cura.

Mario: E' un tabù la parola guarigione?

Cristina: Io la uso, io mi sento di usarla perché quando una persona arriva ad un certo grado di autonomia e responsabilità la ritengo guarita

Mario: se io cado e mi rompo una gamba posso guarire rischiando di rimanere un po' zoppo ma, tutto sommato, sono guarito. Forse non sarò come prima ma sono guarito, posso fare la mia vita normalmente

Ma tutte le malattie gravi come anche la malattia mentale possono portare un cambiamento; tutte lasciano una cicatrice ma, anche in questo caso, si può parlare di guarigione

Cristina: Si la malattia grave può portarti a cambiamenti della persona che può essere disfunzionale. Ti toglie determinate capacità, determinate funzioni e quindi occorre riacquistarle come del resto passando attraverso un periodo di malattia uno può ristrutturare la propria personalità in un modo più in sintonia con se stesso.

Daniele: Qual' è l'importanza dei farmaci?

Cristina: Sono importanti per creare una base su cui lavorare perché, senza il farmaco, ci sarebbero dei sintomi che sarebbero tanto acuti, tanto evidenti e angoscianti che non sarebbe possibile avvicinare una persona.

Se il farmaco viene preso con regolarità si può lavorare sulla persona che sta prendendo il farmaco e quando con lei si entra in relazione si riescono a creare dei cambiamenti. E' in questo momento che si cerca di sostituire il farmaco con la relazione e con il rapporto.

Daniele M: C'è il pericolo di dipendenza dai farmaci?

Cristina: Questa è una domanda da fare ad uno psichiatra, io posso invece dire che bisogna stare attenti a non creare dipendenza dalle persone.

Quando si crea un rapporto di cura tra il terapeuta e il paziente c'è il rischio che si crei una dipendenza molto forte tra queste due figure, c'è anche la possibilità che si crei una dipendenza tra il paziente e la struttura dove il paziente vive per anni, anche questo deve essere evitato.

Mario: In quest'ultimo caso, una responsabilità è anche nella struttura stessa!

Cristina: E' per questo che c'è la necessità di un progetto terapeutico nel quale è implicito il fattore temporale della durata della permanenza nella struttura, che verrà naturalmente verificata.

Daniele M: Abbiamo pensato che si potrebbe sostituire la sanzione con attività utili alla vita comunitaria.

Cristina: Penso di si.

Io preferisco sostituire il termine sanzione con "restringimento dello spazio di azione" perché, quando una persona si comporta male, restringendogli lo spazio attorno, automaticamente gli limitiamo gli stimoli e quindi con più facilità si comporterà bene.

Il contenimento, per una persona che non sta bene, può essere di grande sollievo.

Mi è piaciuto il termine usato da Michele durante un incontro nel nostro laboratorio teatrale che aveva detto di sostituire il termine punizione con richiamo psicologico.

Questo è un po' quello che pensate voi, evidenziare che un comportamento fatto in quel modo in quel tempo in quello spazio non va bene e che quindi deve essere richiamato alla attenzione della nostra psiche.

La vostra idea di mettere qualche cosa di sostitutivo.


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