Come è nata l'idea del numero zero del giornale "La Doppia Ombra"

Realizzare il numero zero del giornale "La Doppia Ombra" è stato un lavoro non facile, ma ci siamo riusciti.

Tre mesi fa, durante il settimanale laboratorio di "Comunicazione Teatrale", organizzato dal Tiretto con l'aiuto di Guido Ravera della compagnia Teatrale "Abretti" di Ovada, si è parlato, con gli ospiti della Comunità "Alba Chiara" e del Gruppo Appartamento "La Casa del Giardino", dell'opportunità di utilizzare la "punizione" nelle Comunità Psichiatriche.

Qualcuno mi ha fatto notare che sarebbe stato più corretto parlare di "sanzione" e non di "punizione".

Se superiamo i problemi semantici che altro non sono che il tentativo di spostare l'attenzione dalla luna al dito, rimane il fatto che tutti, anche quelli del dito, usano il termine "punizione", ma cosa più importante e che gli utenti vivono la "sanzione" come una "punizione."

Le considerazioni scaturite durante quell'incontro, andavano dalla "Stupidaggine" al "Legittimo esercizio di autorità" passando per concetti come "Ritorsione", "Riduzione della libertà" e "Ricatto". Pur essendo comprensibile che il "fruitore" (Ghedini colpisce) della punizione non può di quest'ultima averne una gran considerazione, forse non è banale ribadire che non riflettere con attenzione su questi giudizi, è segno di grande presunzione e indifferenza, due qualità che male si coniugano con la cura della malattia mentale.

Proprio per riflettere su queste affermazioni, senza delegare questo compito solo ad altri, abbiamo pensato ad un nostro vecchio progetto che consisteva nella realizzazione di un giornale interno alla Comunità e che poteva esserne il cuore e il megafono degli avvenimenti comunitari, un mezzo per dare voce a chi voce ne ha poca diventandone il respiro, alcune volte calmo e sereno, altre, affannoso e irato.

Tutto questo con il fine di permettere la crescita di tutti, degli ospiti e degli operatori ma anche dei famigliari e dei volontari.

Era un progetto probabilmente folle, ma cosa è la follia se non la capacità di immaginare ciò che per altri è inimmaginabile?

Poteva diventare la cartina di tornasole di quanta capacità e volontà c'è in chi ruota attorno alla salute mentale, di superare il semplice impegno volontaristico o lavorativo per tentare di volare alto, ognuno con le proprie capacità, con i propri tempi, ma unitariamente.

A suo tempo, per l'impegno che avrebbe richiesto, questo progetto era stato provvisoriamente accantonato, ma noi volontari siamo un po' ingenui e un po' anime belle e dopo quella riunione in cui il malessere dei ragazzi nel parlare della punizione era così palpabile, abbiamo deciso di riprendere, almeno temporaneamente, il progetto giornale per recuperare quell'affanno e farlo conoscere anche fuori dal laboratorio.

Raccontare quelle difficoltà ci parve necessario, proprio perché può succedere che l'abitudine e la quotidianità ci inducano a vedere sempre la stessa fotografia in cui i dettagli, così importanti nella nostra storia, sono solo immaginati, dove lo scorrere del tempo è scandito da monotoni appuntamenti giornalieri facendo perdere di vista, forse involontariamente, le inquietudini ignorate dagli stessi soggetti.

Basta saper ascoltare una di queste lamentazioni per scoprire un subbuglio di emozioni, le stesse che viviamo noi a cui piace rappresentarci fuori dal disagio mentale, ma sopite dalla loro arrendevole accettazione e dalla nostra colpevole familiarità alla vita comunitaria.

Abbiamo allora deciso di formare una redazione composta da una fotografa: Elisa e da quattro redattori: Daniele, Giovanni, Paola e Simona.. Che dire, è stato un susseguirsi di piacevoli sorprese.

Si è iniziato con qualche riunione della redazione in cui si e discusso e approfondito il tema della punizione in comunità, tema che poi si è allargato alla "riabilitazione psichiatrica" e al "progetto terapeutico personalizzato"

Successivamente si è stilato un canovaccio formato da una decina di domande e ingenuamente e forse anche incoscientemente si è deciso a chiedere e prendere appuntamenti per le interviste.

Devo sottolineare che gli intervistati hanno dimostrato, non solo per educazione, una sincera voglia di narrare il loro punto di vista con grande professionalità.

Avevamo immaginato veloci risposte alle nostre domande ed invece il tempo che ci hanno dedicato è stato in alcuni casi positivamente imbarazzante.

Qualcuno non si è reso disponibile all'intervista per mancanza di tempo o per altri motivi, peccato! Ha perso l'occasione di sorprendersi nel carezzare la realtà. Non occorreva neppure avere talento, bastava dare risposte, le domande erano già formulate.

Non meno sorprendente è stata la serietà con cui queste interviste sono state affrontate dai nostri amici, non si sono limitati ad una semplice elencazione di domande ma hanno spesso ribattuto e formulato domande fuori dal canovaccio preparato.

Naturalmente per noi, questo è motivo di grande soddisfazione ma, parallelamente, dopo averli seguiti in questa avventura che non è terminata con le interviste ma che li ha visti intervenire nelle fasi successive di realizzazione del giornale (trasporto delle interviste sul computer, impaginazione e disposizione degli articoli e delle fotografie), ci amareggia sapere quante risorse e capacità hanno i nostri pazienti se solo noi sapessimo, volessimo o "potessimo" coltivare.

Quanti e quali risultati potremmo ottenere se solo tutti noi, volontari, famigliari e operatori credessimo che "si può fare".

Mario Chirico

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